Dopo Profeti (tema di èStoria 2012), una brusca virata, un tema duro, come lo sono i tempi che viviamo. Il cliché del bandito affolla la letteratura di ogni tempo e luogo, proietta la sua immagine lungo tutta la storia del cinema, campeggia nella storia dell’arte, nell’opera e nella canzone d’autore, nel fumetto e nella graphic novel. La cronaca ci racconta ogni giorno di effrazioni alla norma costituita e la parola bandito dilaga, dall’economia alla politica, allo sport. Ma è possibile indagarne l’immagine sfuggente sotto un’angolatura storica? E per di più in una cornice come quella di un Festival storico? Due tra i nomi più illustri della storiografia mondiale degli ultimi decenni hanno provato a dare una risposta al primo quesito. Il primo è stato Fernand Braudel, uno dei fondatori della scuola delle Annales, che nel saggio “Miseria e banditismo”, divenuto poi capitolo essenziale del capolavoro Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II sottrae il fenomeno della criminalità alla semplice e feroce avventura dell’uomo contro l’uomo e lo inserisce in un contesto di contrapposizione del più debole rispetto al più forte, di rivincita di classe contro i soprusi dei potenti o contro gli stati costituiti. “Sui poveri, la storia getta ben poche luci, ma essi sanno, a modo loro, attirare l’attenzione dei potenti, e di rimbalzo anche la nostra”. Eric Hobsbawm, lo storico marxista scomparso di recente, ha ripreso questi concetti in Banditi – il banditismo sociale nell’età moderna, e li ha amplificati ulteriormente fino ad affermare che per tutti i deboli e i poveri del mondo di qualsiasi epoca “Robin Hood significa ancora qualcosa. Sono in tanti. E devono sapere”. Gli strumenti del bandito sono grosso modo i medesimi in ogni epoca: astuzia, velocità, violenza, terrore da un lato e popolarità dall’altro, ma anche conoscenza del territorio, spregiudicatezza e una sorta di oscuro carisma che rende i banditi figure rispettate, per timore o per ammirazione. Altro elemento di fascino è l’ambiente dove si muovono, il teatro delle loro imprese: la foresta impenetrabile, le montagne piene di caverne e nascondigli, i boschi che celano ogni movimento e, per pirati, corsari e bucanieri, il mare, o anzi i mari, che meglio di ogni altro luogo rendono l’idea di libertà e assenza di legami che accompagna queste figure. Si comprende dunque come questo tema sia non soltanto una scelta carica di suggestioni, ma anche un’occasione di incrocio per le molte discipline che con la storia devono essere in costante dialogo: letteratura ed economia, scienza politica e arte, psicologia e antropologia, e tutte le altre prospettive che il Festival terrà presente come di consueto. I banditi sono figure molto meno lontane da noi rispetto a quanto potremmo pensare superficialmente: anche nel XXI secolo, il villaggio globale conosce le minacce dei pirati dell’Oceano Indiano, e nell’Italia di oggi sono ancora vivi protagonisti, testimoni e vittime di imprese a cavallo tra storia e cronaca. Nel tempo della crisi, le difficoltà rischiano sempre di risvegliare la feroce avventura dell’uomo contro l’uomo: siamo davvero parte di una collettività in grado di contrastare la naturale pulsione che rischia talvolta di trascinare singoli individui e gruppi al di là della legge? Molte domande per questa IX edizione del Festival internazionale della Storia, che si propone come sempre di prestare attenzione alla pluralità dei punti di vista ed a garantire un dialogo fecondo ed efficace nell’affrontare i grandi interrogativi che non cessano d’interpellarci.